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I "moti comunisti" del 1848

Negli anni in cui nelle città italiane ed europee maggiori scoppiarono i moti rivoluzionari, anche Albidona fu interessata dall'ondata di rivolta, che causò il ferimento (e la morte) di alcune persone e l'arresto di molte altre. Il sentimento ribelle fu incentivato anche dalle prime scintille rivoluzionarie scoppiate nel comprensorio di Albidona: ad Amendolara era stata istituita u circolo religioso affiliato alla ""Giovane Italia", guidati dal sacerdote don Vincenzo Mussuto; a Plataci si trovava il prete Angelo Basile, principale promotore dei movimenti.
Anche nel piccolo comune di Albidona fu costituito un circolo di sentimento politico "liberale", chiamato dai borboni "Setta dei rivoltosi", allo scopo di tutelare le famiglie povere e restituire loro le terre confiscate dalle famiglie nobili. Nel 1848 i rivoltosi iniziarono la sommossa, ma il movimento fu soffocato ed essi furono arrestati, processati e condannati dalla polizia borbonica.
I "comunisti, nella Settimana Santa del 1848, iniziarono in alcune aree del territorio albidonese il disboscamento, che non gli era stato concesso dal Comune, al fine di rendere i terreni disboscati coltivabili e assegnarli alle famiglie più povere. Ma le famiglie nobili albidonesi comunicarono, intanto, a Cosenza il "misfatto" dei rivoltosi. Essi, così, organizzarono una manifestazione popolare nel giorno di Pasqua del 1848, con l'appoggio di due liberali facenti parte della famiglia Scillone (altra famiglia abbiente di Albidona) e del notaio Dramisino. I ribelli protestarono in piazza Risorgimento davanti al palazzo Chidichimo, accusandoli di aver detratto il demanio agricolo alle famiglie meno abbienti; con i Chidichimo si schierarono i filo-borbonici. Ad avere la meglio furono i Chidichimo che, con l'appoggio della polizia borbonica, riuscirono a far arrestare e condannare i rivoltosi comunisti; nello scontro morirono addirittura due persone.
Alcuni rivoltosi, come il notaio Dramisino, Francesco Rizzo, Marzio Palermo, il Minucci e Giovanbattista Scillone furono condotti nell'isola di Procida, per scontare la prigionia, e qui morirono dopo qualche anno.